I sogni di Margaret, cap. 5
Il mio romanzo da oggi ha una sua copertina: non potevo tralasciare questo particolare, quindi con soddisfazione condivido con voi la creazione di questa immagine!
Spero che la lettura vi soddisfi, così per arrivare a concludere questa settimana vi aggiungo altri tre capitoli e così vediamo cosa succede quando nella già movimentata routine di Margaret s'intromette un altro personaggio stranamente interessato a lei...
Ho modificato questo post perchè il libro sta cominciando a farsi conoscere e ad ottenere i primi risultati!
Per ora mantengo il link con il collegamento ad Amazon, ma presto farò delle variazioni, perchè sto vedendo di promuoverlo diversamente...
Vi terrò aggiornati!
" Margaret continua le sue sedute col dottor Hamilton e i suoi sogni diventano sempre più chiari, più ricchi di particolari; però, a quanto pare, questi sogni iniziano ad influenzare sempre di più anche la sua vita reale, infatti la donna rischia di compromettere persino la sua salute ogni volta che si immerge in essi...
E Richard come si comporta in questo frangente?
O meglio: cosa nasconde Richard nel suo passato? Cosa incuriosisce Margaret tanto da spingerla a fare ricerche su di lui?
E poi adesso c'è anche Steven, il produttore cinematografico che a quanto pare non cerca Margaret solo perchè ha bisogno di lei per lavoro; le cose cominciano a farsi complicate, come si comporterà Margaret ora che è presa tra due fuochi?"
Cap.
5
Di
nuovo.
Sono
scesa, sono davanti al cancello di ferro che anche questa volta si
apre senza problemi, si spalanca mi, lascia entrare e le tre porte
sono lì, davanti a me.
-
Quale porta vuoi aprire Margaret? - Richard è già li vicino a me,
mi guarda calmo e paziente, ma non vede le porte così come le vedo
io, guarda solo me, vede il riflesso delle mie parole.
-
Sono davanti alla porta rossa, ma non si apre ora, è bloccata.
Adesso sono davanti alla verde ...- allungo la mano, e la porta verde
si apre senza problemi: socchiudo un attimo gli occhi, mi aspetto
d'essere accecata nuovamente dalla luce del sole, invece no.
-
Dammi la mano Margaret - mi volto a guardarlo, mi sta porgendo la
mano ed io lascio che la mia sparisca nella sua, la stessa sensazione
che ho provato quando per la prima volta gliela strinsi.
-
Ora siamo entrambi spettatori. Guidami, raccontami Margaret: dove
siamo? -
-
E' quasi notte, il crepuscolo: siamo in edificio modesto, quasi
fatiscente. Sento i lamenti di altre persone che non vedo, bambini
che piangono, vecchi che tossiscono. Siamo in un corridoio, là in
fondo c'è una piccola finestra; vieni andiamo a vedere – e lo
trascino con me, stringendogli la mano, voglio guardare fuori dalle
finestra, cosa c'è lì fuori?
Mi
manca il sole del sogno precedente, speravo di ritornare lì...
-
Cosa vedi Margaret? Parlami – ha una voce così dolce, morbida,
dovrebbe essere lui a narrarmi una storia; invece sono io che
racconto.
-
La città è devastata, quasi abbandonata, è uno scenario
tristissimo, la poca gente che vedo si nasconde o si trascina per i
vicoli sporchi -
-
Dove siamo ? -
-
Siamo in Francia, a Douai. E' il 1712 e gli Spagnoli che ci hanno
assediato ci hanno lasciati a morire di tifo ... Sto morendo, di
tifo. Guarda, sono là -
Mi
giro alla mia sinistra, una piccola porta ci fa accedere in uno
stanzone sporco, per fortuna non sento gli odori, devono essere
esalazioni di morte, putrefazione, malattia.
-
Eccomi: quella vecchia laggiù, vedi? Sono su un giaciglio arrangiato
sul pavimento - mi riconosco subito, non so perché - devo avere
circa sessant'anni, ma forse è la malattia che m'invecchia. Sono
stanca, così stanca: il dolore, Dio, quanto dolore, le mie mani,
raggrinzite, le macchie scure del morbo che non hanno pietà della
mia pelle. Voglio morire, Richard, voglio morire, ti prego... basta ,
basta dolore... -
-
Ascoltami Margaret: senti la mia mano, si? - me la stringe forte,
l'accarezza con entrambe le sue ora, il suo pollice si strofina nel
mio palmo, e lo sento, sento quella sensazione di calore che riesce a
trasmettermi e il dolore svanisce.
Resto
io, e mi volto a guardarmi: sono accovacciata vicino alla vecchia che
rantola, Richard accanto a me – Sei con me ora, fuori da tutto
questo. Adesso, con calma, dimmi : chi sei? -
-
Sono Emma, sono nata e cresciuta qui, in questa cittadina: vendo
fiori, giù al mercato, lo faceva mia madre prima di me, ed io ho
continuato dopo di lei: i fiori più belli e profumati di Douai,
tutti conoscono i miei fiori... Si sta avvicinando una donna adesso,
un ragazzo è con lei –
Mi
volto a guardare la donna che si fa strada tra i corpi degli altri
malati, non si cura della sporcizia, dell'aria mortale che alberga in
quella stanza, viene diretta verso di me; un giovane che avrà a
malapena vent'anni la segue, porta una piccola cesta piena di fiori,
rose.
-
Chi sono Margaret, puoi dirmelo ? - ancora la voce di Richard, che
insiste ma senza forzarmi.
-
Lei è Sophie, una mia vicina, mia madre ha tirato su anche lei
assieme a me quando è rimasta orfana, è come una sorella. Lui è
suo figlio, Albert: sono come una seconda madre per lui. Ha le mani
sporche di vernice, no, sono colori ad olio: è un artista, un
pittore. Lui ama dipingere i miei fiori, si: ha imparato a disegnare
raffigurando le mie viole, i gladioli, le fresie. Ha appena
completato il suo quadro più bello, mi dice che ha avuto talmente
successo, che ora che finalmente la città è libera con i soldi
ottenuti grazie a quel quadro lui e sua madre hanno un fututo
assicurato. Ha le lacrime agli occhi, Albert: quanto è dolce quel
ragazzo. Sono io il soggetto del quadro, mi ha ritratta in mezzo ai
miei fiori, alle mie rose, le sue preferite: me le ha portate,
guarda, guarda Richard ! -
-
Si Margaret, le vedo. Le vedo grazie alle tue parole; cosa succede
ora? Dimmi, racconta -
-
Emma sta prendendo una bottiglietta dalla cesta. C'è un liquido
dentro, opaco, fa per aprirlo, vuole farmi bere il contenuto; non
capisco, Albert la trattiene, sta piangendo non vuole... -
Mi
chino leggermente come se volessi accostarmi alle loro bocche per
poter ascoltare meglio quel che dicono: è francese, si ,ma ora
capisco, si capisco tutto .
-
Sophie ha portato dell' aconito, è un veleno. Sono giorni che la
supplico di porre fine alle mie sofferenze, non ce la fa più a
vedermi così, sappiamo entrambe che non mi rimane molto, vuole
aiutarmi. Ma Albert si rifiuta di accettare quel gesto, non vuole
lasciarmi andare, cerca di convincere ancora la madre, dopo tanti
tentativi, ancora cerca di farle cambiare idea: mi vuole bene, come a
una madre, forse anche di più. -
Lo
guardo, Emma lo guarda, e con quella poca luce vitale che mi rimane
ancora, lo convinco che solo così potrà rendermi felice, solo così
potrà liberarmi – "Ti prego, Albert ... ti prego ..."-
Mi
volto verso Richard, lo guardo, lo vedo quasi tremolante tra le
lacrime che adesso mi riempiono gli occhi, non riesco a trattenermi:
sono così triste, così triste ...
-
Ha capito: si, adesso Albert ha capito. E' lui che apre la
bottiglietta, mi abbraccia incurante della repulsione verso la
malattia: appoggia sulle mie labbra il flaconcino e lentamente lascia
che io beva il liquido amaro. Mi continua a sorreggere mentre il mio
corpo devastato sussulta, mi parla dolcemente all'orecchio, una
vecchia filastrocca che gli narravo quando era bambino; adesso una
smorfia di dolore mi compare sul viso, ma poi sono serena, gli
sorrido debolmente, sono libera. Ma lui non si dà pace, e piange,
piange talmente tanto: io... io non credevo mi volesse così bene...
io non lo sapevo... -
Mi
lascio andare anche io ad un pianto dirotto, mentre Richard mi
abbraccia, mi consola massaggiandomi la schiena con quelle mani
grandi e calde; lascia che le mie lacrime gli bagnino la spalla e
siamo di nuovo nel suo studio, sulla poltrona, io in braccio a lui
mentre mi culla dolcemente come una bambina che si è risvegliata da
un brutto sogno. Sento la sua barba tra i miei capelli e non vorrei
andarmene più da lì; voglio restare così, ancora, rannicchiata
nell'incavo del suo braccio, accovacciata come un cucciolo che cerca
riparo, perchè mi sento così al sicuro adesso.
Riesco
a fermare i singhiozzi e lo guardo: ho le guance rigate dalle lacrime
e penso che probabilmente devo avere un aspetto orribile: il mascara
sarà colato senza ritegno, mi sento gli occhi gonfi, mi bruciano ,
ho il volto in fiamme, persino le orecchie mi paiono tizzoni ardenti.
Non
diciamo nulla. Il mio viso è a pochi centimetri dal suo, con la
mano sposta una ciocca dei miei capelli che aderisce al mio viso, le
lacrime che la trattengono come una colla.
Io
dentro quegli occhi credo che potrei perdermi, invece provo qualcosa
di diverso quando mi soffermo con i miei nei suoi: non mi ci
perdo...mi ci trovo.
E'
una sensazione incredibilmente appagante, un sollievo, come quando
aneli disperatamente a raggiungere uno scopo o un riparo durante una
tempesta: una barca alla deriva che finalmente riesce ad ancorarsi in
un porto sicuro, una rondine travolta dalla forza del vento che
riesce ad infilarsi in un anfratto evitando la furia che fuori la
travolge: è come tornare a casa dopo un lungo viaggio, dopo un
vagare senza mèta, senza scopo, senza pace.
Lo
vedo avvicinare la bocca alla mia, desidero con tutte le mie forze
che mi baci, ti prego, fallo: invece è sulla mia fronte che poggia
le sue labbra, delicatamente, sono fredde.
-
Stai bruciando Margaret, hai la febbre -
-
Cosa?... io... no, non mi sento bene... -
Al
rogo: se fossi una strega al rogo probabilmente mi sentirei così.
Improvvisamente prendo coscienza del mio corpo e mi scopro avvolta
dalle fiamme di un fuoco che mi brucia dentro, non solo il viso, ma
tutto il mio corpo è come se si fosse trasformato in un falò che mi
arde nello stomaco, nel petto, sale lungo il collo, striscia alla
base del mio cranio per poi risalire, come una radice che si spande
finchè non avvolge completamente tutta la mia testa, s'insinua nel
mio cranio e dilaga ovunque, raggiungendo ogni più piccolo anfratto
della mia testa.
A
malapena mi rendo conto del tremore incontrollato delle mie labbra,
fatico a parlare: - Richard.... Ri... Richard.... -
Non
riesco più nemmeno a mettere a fuoco il suo volto, ma ho la
sensezione d'essere sollevata, come se non pesassi più di un sacco
di farina. Mi sento trasportare, di corsa, su per una scala.
Percepisco appena le sue parole, ascolto ma non comprendo: ho male al
collo, tanto male, lo sento irrigidirsi come se stesse diventando di
pietra.
-
Margareth ..... hai le convulsioni ... Cristo santo!... Bruci, scotti
troppo, troppo...!-
Il
rumore dell'acqua, quello lo sento, qualcuno deve aver aperto un
rubinetto: scroscia forte e intanto vagamente mi rendo conto che mi
stanno togliendo la vestaglia, i calzini...
Mi
sento scivolare, dolcemente, ma senza che mi lascino del tutto: sento
l'acqua che a poco a poco mi ricopre, le gambe, il ventre, la
schiena; però non mi lasciano andare del tutto. Sento la forza delle
braccia che mi sorreggono la nuca, il mento e mentre l'acqua che a
malapena percepisco fresca raggiunge il mio torace e mi ricopre il
seno, cerco di capire cosa sta succedendo, chi mi sostiene...?
Richard? Li vedo i suoi occhi...si... è lui... no, forse.. ma non
sembra lui...
"
Sono occhi azzurri come il ghiaccio sciolto, come il cielo riflesso
in un lago di montagna, come i 'non ti scordar di me' che crescevano
nel giardino di mia mamma... e sono anche lame d'acciaio: sono gli
occhi di Bran che mi guardano adesso, occhi tristi, freddi, occhi
confusi, sconvolti ...
E'
lì, davanti a me, se riuscissi ad alzare una mano potrei sfiorarlo,
lo so. Potrei scostagli quel ciuffo di capelli corvini che gli è
scivolato sul viso: è ferito, lividi violacei gli segnano il volto,
un taglio gli attraversa sanguinando il sopracciglio.... sembra
sconvolto... io, non capisco...perchè mi guarda così? Poi abbassa
lo sguardo ed io seguo il suo e la vedo, vedo la lama che affonda nel
mio ventre, la sua mano che impugna l'elsa della spada che ha
conficcato nella mia carne, il sangue, tutto quel sangue... il mio
sangue, il mio sangue sulle sue mani.
Poi
il suo grido, un urlo disperato, come il verso di un animale stretto
nella morsa di una tagliola che gli lacera la zampa. - No! ....
Nooooo! -"
Spalanco
gli occhi sobbalzando.
Sono
stesa in un letto che non conosco, ma non è un sogno ora. Sento
lenzuola fresche profumate di bucato, sento il morbido peso di un
piumino che ricopre il mio corpo. Non brucio più ora: sono
dolorante, si, come se avessi percorso una maratona estenuante, i
muscoli tesi, contratti, gli occhi mi pizzicano ancora, li sento
acquosi.
Cerco
di mettere a fuoco l'ambiente, c'è poca luce. Prima noto il
cassettone a fianco del letto, sembra di ciliegio, scuro comunque,
lineare, moderno: sopra c'è una cornice con una foto che non riesco
a distinguere, tre, quattro libri impilati uno sopra l'altro, un
calice con un dito di liquido scuro dentro, vino forse. Giro
lentamente la testa: ai piedi del letto la parete è coperta da un
lungo armadio dalle ante scorrevoli, una poltrona con sopra qualche
indumento appoggiato lì con noncuranza; accanto un tavolino con una
piccola lampada, ancora libri, tanti, sistemati un pò alla rinfusa,
l'unico punto disordinato in tutta quella semplicità. Dalla
finestra, attraverso le tende socchiuse, filtra una debole luce,
dev'essere quasi l'alba; sta ancora piovendo, non forte come la sera
prima, ma ancora sento, insistenti, le gocce di pioggia che
tamburellano sui vetri, sembra quasi stiano intonando una ninna
nanna.
Pioggia...
Quanto
pioveva la sera prima? Mi torna in mente tutto... La pioggia, io
fradicia che allago l'ingresso, la torta: ho lasciato la torta sul
tavolino dell'ingresso, mi sono dimenticata di darla a Richard...!
Che pensiero sciocco adesso... ma dov'è Richard?
Mi
volto sulla schiena, sento il mio corpo che affonda appena nel
materasso morbido, il mio peso scivola di qualche centimetro indietro
e si blocca contro qualcosa di massiccio, caldo.
E'
lui, Richard, è lì, vicino a me: io sotto le lenzuola, mi accorgo
ora che indosso solo una lunga camicia, sembra flanella; lui accanto
a me, sta sopra il piumone, solo una coperta sulle gambe che lo copre
fino alla vita, le maniche del maglione che indossava la sera prima
arrotolate fino al gomito. Mi soffermo a guardarlo, la linea delle
sopracciglia, due virgole folte sulle palpebre abbassate, la curva
della mascella, forte ma al tempo stesso morbida, non troppo
squadrata se non fin quando giunge sotto l'orecchio e allora piega di
scatto, verso l'alto, in quel punto dove la barba si confonde un
attimo con la basetta, davanti alla piega del lobo.
Comincio
a mettere a fuoco qualche ricordo: il sogno, la febbre, il fuoco che
mi divampa dentro: e poi Richard, preoccupato. Mi ha portata al piano
di sopra, mi ha immersa in una vasca d'acqua fredda, tamponata finchè
la temperatura del mio corpo non è scesa. Fossi stata sola in preda
a quel delirio infernale, non lo so se sarei sopravvissuta...
Resto
immobile, così, a guardarlo: fatico a credere che fino ad un paio
di settimane prima la mia vita procedesse come al solito, con il suo
noioso tran tran quotidiano, le mie serate con Amanda e Jane, i
libri, il cinema... E adesso?
I
sogni che tornano a popolare le mie notti agitate, Jane che vuole
usarli come argomento di laurea e Richard, il suo insegnante, che
sembra comparire al momento giusto, che si offre di aiutarmi, che
entra a far parte della mia vita come se fosse la cosa più normale
del mondo, quasi scontata, sin dal primo momento che ci siamo
incontrati.
Se
penso che ora sono lì, nel suo letto, che siamo così vicini, quasi
intimi anche se ancora sconosciuti, falsi amanti quando ci uniamo per
spiare vite di altri nei sogni, uniti nelle nostre menti, stranieri
nelle nostre realtà...
Devono
avere un peso i miei pensieri: sospira, apre gli occhi, mi guarda.
Tocca
la mia fronte, il mio viso, il polso. - Come ti senti ora? - noto
appena un tremolio nel suo tono di voce: era davvero preoccupato
stanotte, si è spaventato?
-
Come se mi fosse passato sopra un tir... - mi accorgo d'avere la voce
un pò afona – cosa mi è successo? -
-
Credo che la pioggia che ti sei presa ieri sera ti abbia provocato un
raffreddamento con i fiocchi: ho davvero temuto di non riuscire ad
abbassare la temperatura del tuo corpo, nel giro di poco bruciavi
come una torcia -
- Ho
sognato ancora Richard – lo dico così, di getto – ho sognato
Bran che mi uccideva -
Di
nuovo mi accarezza il volto, ma stavolta non è per sentire se
scotto.
-
Così adesso c'è anche un omicidio: non ti fai mancare nulla
Thompson, non c'è che dire, quando muori lo fai in grande -
Sorrido:
non posso che pensarla come lui.
Gli
racconto i particolari, l'aspetto di Bran, le sue ferite, le mie, la
spada. Mi ascolta senza commentare.
-
Non capisco Richard, davvero... che senso ha tutto questo? Perchè
sempre gli stessi sogni? Perchè sempre le mie morti? Cosa vuol dire,
devo capire qualcosa? -
-
Tranquilla, vedrai, ne verremo a capo. Te lo prometto -
-
Sono nuda Richard –
Arrossisce
stupito alle mie parole – Ti ho messo qualcosa di asciutto dopo che
ti avevo immerso nella vasca... Dio Margaret, sono un medico... non
penserai mica... -
- No
no, non mi riferivo a quello! - ho parlato senza pensare, mi riesce
difficile essere razionale accanto a lui: ho un atteggiamento
insolito nei suoi confronti, lo riconosco. Talvolta ho come
l'impressione di leggere un libro che già conosco, mi sembra d'aver
ristrovato un vecchio amico d'infanzia, qualcuno che mi conosce come
il palmo della sua mano, che mi capisce al volo, con cui posso
parlare senza remore. Altre volte mi sembra di osservarlo come fossi
ai piedi di una montagna, io in basso, lui lassù, a guardare
orizzonti che non conosco, distante anni luce anche se a pochi metri
da me.
– Volevo
dire che mi sento nuda nell'animo, come persona, nello spirito: mi
sento nuda dentro, mi comprendi? -
Si
ricompone subito, gli bastano pochi istanti, torna impassibile:
Richard Hamilton, la roccia.
- Io
non so nulla di te invece – ormai non mi trattiene più nulla, la
curiosità della mia dea interiore prende il sopravvento, sta
cavalcando con il sottofondo de "La cavalcata delle Valkirie".
Continuo... - Chi sei Richard? -
Un
secondo, due secondi, tre secondi... Continua a guardarmi fisso negli
occhi: se prima mi sentivo nuda adesso è come se si fosse appena
tuffato dentro di me...
- Lo
sai: sono un professore universitario, laureato in medicina con una
seconda laurea in psichiatria e specializzato in psicoterapia, nonchè
relatore della tesi della tua amica Jane Barnes, la quale
specializzanda ha pensato bene d'incuriosirmi con il tuo caso. E così
eccomi qua, a cercare di aiutarti, perchè te l'assicuro, è la prima
volta che ho a che fare con sogni così coinvolgenti: sono
estremamente affascinanti... i tuoi sogni ... Margaret -
- I
miei sogni Richard? -
Non
risponde. Io insisto.
-
Jane mi ha detto che ti sei trasferito da poco a Londra, non è da
molto che insegni qui...-
E'
come se dovesse decidere se e cosa dirmi, una muta risposta le cui
parole cerca nei miei occhi.
-
Sono di Edimburgo, ho studiato là, ci sono rimasto fino ad un anno
fa; poi mi sono trasferito qui... mi hanno fatto una buona offerta
per insegnare all'Università e collaboro anche con alcuni ospedali.
Non c'è poi niente di molto interessante nel mio passato, Margaret,
sono solo un insegnante, un medico, felice quando posso aiutare gli
altri a stare meglio: tutto qui -
-
Scusami, non volevo essere indiscreta; solo che ti conosco da così
poco, e guarda come stiamo adesso... - ridiamo entrambi, per un
attimo ho avuto come l'impressione che ci fosse un pò di tensione
nell'aria.
-
Vado a prenderi i vestiti di sotto, saranno asciutti ormai; chiama
Jane e sua madre, così ti fai venire a prendere da loro -
- Ma
posso benissimo tornare a casa da sola... -
-
Assolutamente no, non transigo - no, il tono decisamente non transige
– ti fai accompagnare a casa, ti darò un antipiretico e un
ricostiruente da prendere durante il giorno e stasera mi farai sapere
come stai, ok? -
Non
attende nemmeno che risponda, è già sceso a prendere le mie cose.
Mentre
aspetto mi alzo seduta nel letto: in effetti sono ancora debole, mi
gira un pò la testa, riesco ad accendere la lampada sul comodino
accanto al cassettone e la luce soffusa illumina parte della stanza.
Lo sguardo mi cade sulla foto accanto al calice: è Richard, è in
mezzo ad altri due uomini, forse colleghi, sembrano medici anche
loro: solo che lui è diverso, la barba meno folta, è solo
accennata, i capelli più lunghi. So che è lui, eppure sembra un
altro: ha un'aria familiare ...
Rientra
con i miei abiti e la borsa, tutto è asciutto, anche se la camicia e
il jeans hanno un'aria decisamente sofferta
-
Ho messo a preparare il tè: hai portato tu quella torta che è
all'ingresso? -
-
Si, oddio, mi sono dimenticata di dirtelo ieri: volevo sdebitarmi in
qualche modo per tutto quello che stai facendo per me.. spero ti
piaccia il cioccolato -
-
L'adoro! Perfetto, così possiamo prenderla col tè, ti ci vuole
proprio per rimetterti in sesto: ti aspetto di sotto -
Mi
scappa un sorriso mentre esce ed io comincio a rivestirmi: adora la
cioccolata, fantastico!
PROPRIETA’
LETTERARIA RISERVATA
Tutti
i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione dell’opera,
anche parziale. Questa è un’opera di fantasia. Nomi,
personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia
dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza
con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da
ritenersi puramente casuale.
Avviso: il mio romanzo sarà presto disponibile in formato cartaceo e su ebook formato PDF,
appena sarà pronto aggiornerò i dati!! A presto e grazie per il sostegno!